Una scrittura, questa delle Lettere di Michelangelo, increspata, sdrucita, commendatizia, e pure delusiva, corredata com’è, quasi esclusivamente,
di conti, di danaro, di quote poderali, di casa da vendere o comperare, di doti e di nipoti scapestrati, di olio e vino ( sempre Trebbiano, sempre troppi fiaschi), di servi malaticci, di qualità e quantità di blocchi marmorei. Solo in una missiva, di fine dicembre del 1532, questo stile sciatto s’inturgidisce, s’impenna, la scrittura si fa aulica e gonfia come la rana della favole, dappertutto grondano metafore ed iperboli. Zitti tutti: ecco che arriva Tommaso Cavalieri.
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